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UN ARCIORGANO SUONABILE ON LINE


Per chi è curioso di esplorare il mondo e la storia del “temperamento” di una tastiera medievale, Caspar Johannes Walter mette a disposizione nel suo sito una pagina dove potete sperimentare un “ARCIORGANO” temperato secondo i metodi previsti dal manuale “L'Antica musica ridotta alla moderna prattica” di Nicola Vicentino (Vicenza, 1511 – Milano, 11 aprile 1577)...



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https://www.casparjohanneswalter.de/research/arciorgano_player

Come pure sono interessanti i suoi esperimenti proposti nello stesso sito.

Ma proviamo a inoltrarci per capire cos’è e come nacque un ARCIORGANO, e per fare questo dobbiamo partire da lontano.

L’ALTRO IERI

Da quando è stata inventata la “tastiera” per alcuni strumenti musicali così come la conosciamo, sia i costruttori di strumenti, sia i compositori che i teorici hanno drammaticamente lottato con un ben noto problema che riguarda l’accordatura, ossia: come dividere esattamente l'intervallo di un'ottava.

Il tutto nasce dal fatto che fin dai tempi dell’antica Grecia, in cui si cominciò a teorizzare su quali frequenze dovessero trovarsi le sette note della scala “diatonica”, vennero elaborate diverse teorie.

Occorre dire che a quell’epoca le note previste per la musica erano 7, la scala era cioè eptatonica: per semplificarci la vita, di fatto le note corrispondevano più o meno ai tasti bianchi del pianoforte attuale.

Il fatto che mancavano le note “cromatiche”, ossia quelle che oggi sono presenti sulla tastiera come “tasti neri”, già creava problemi poiché, ed oggi lo sappiamo, affinchè  la scala diatonica abbia una sua fluidità devono essere presenti due semitoni: quello tra il mi ed il fa e quello tra il si ed il do. Dunque la scala diatonica non è una sequenza di toni interi ma comprende anche due semitoni.

Considerando che l’ottava (dal do al do) doveva prevedere obbligatoriamente il raddoppio della frequenza,  ossia se il do medio vibra a c.ca 270Hz il do dell’ottava superiore deve vibrare a 540 hz, dividere equamente le frequenze tra le 7 note intermedie creava una scala assolutamente inascoltabile.

C’era solo un punto fermo che poteva essere preso in considerazione: per ottenere la “quinta” (per il do la quinta è il sol) si preme la corda della nota di riferimento (prendiamo proprio il do) all'altezza dei ⅔ della sua lunghezza ottenendo così un sol che non stona affatto col do.

In sostanza se prendo due corde e le tiro su un'arpa nella stessa maniera e nella stessa tensione, se la seconda ha una lunghezza pari ai ⅔  della prima, ottengo un accordo di quinta piacevole all’ascolto.

E questo, ma solo oggi lo sappiamo, perché il sormonto dei due suoni non crea armoniche superiori spiacevoli all’orecchio (solo armoniche superiori di ordine pari).

Verrebbe da dire che si potrebbe proseguire per questa strada di quinta in quinta e vedere cosa succede, ma questo “esperimento” verrà fatto solo in tempi successivi, e lo vedremo dopo.

Per i greci c’era la necessità di “accordare” in modo piacevole all’ascolto le allora solo 7 note della scala diatonica.

Qui interviene il ben noto matematico Pitagora che teorizza la sequenza delle sette note su numeri fratti ben precisi, in quella che passerà alla storia come “scala pitagorica” ossia:

 

Nota 1: La testimonianza più antica sulla nascita delle note musicali pare sia quella di Severino Boezio, filosofo e senatore romano vissuto tra il V e il VI secolo d.C., che narra del monocordo, uno strumento presente nell’antica Grecia, costituito da una sola corda con un ponticello scorrevole che permette di variare la lunghezza della corda stessa, con il quale Pitagora compì alcuni esperimenti di acustica.

Monocordo

Monocordo

Egli notò che dimezzando la lunghezza della corda si otteneva un suono praticamente uguale a quello della corda intera ma più “acuto”, o più “alto”. Ma notò anche che riducendo la lunghezza della corda a 2/3, questa lunghezza produce un suono che “si accoppia bene” con quello prodotto dalla corda intera, ossia è “con-sonante”: l’insieme dei due suoni simultanei risulta piacevole all’ascolto.

(https://www.electroyou.it/clavicordo/wiki/musica-e-matematica-il-problema-del-temperamento)

 

IERI

Ma arriviamo al momento in cui a qualcuno viene in mente di mettere in atto il “giro delle quinte”, ossia ottenere da una nota la sua piacevole quinta ed ancora proseguire da quest'ultima di nota in nota.

La chiusura di questa sequenza porta, dopo dodici volte, ad una nota che si avvicina molto a quella di partenza (diciamo sempre il do come esempio), ma non è quella prevedibile.

Se siamo partiti dal do, dopo dodici volte abbiamo un "quasi do" la cui frequenza però non è multipla di quella del do da cui abbiamo cominciato: dallo schema delle quinte fratte sotto, alla riga 12 dovrebbe apparire 1/2 nel segmnento di corda alla riga 12, invece appare un bel 262144/531441....

  da   a           segmento di corda
1. 1do   1sol   1 * 2/3 = 2/3
2. 1sol   1re   2/3 * 4/3 = 8/9
3. 1re   1la   8/9 * 2/3 = 16/27
4. 1la   1mi   16/27 * 4/3 = 64/81
5. 1mo   1si   64/81 * 2/3 = 128/243
6. 1si   1fa♯   128/243 * 4/3 = 512/729
7. 1fa♯   1do♯   512/729 * 4/3 = 2048/2187
8. 1do♯   1sol♯   2048/2187 * 2/3 = 4096/6561
9. 1sol♯   1re♯   4096/6561 * 4/3 = 16384/19683
10. 1re♯   1la♯   16384/19683 * 2/3 = 32768/59049
11. 1la♯   1Fa   32768/59049 * 4/3 = 131072/177147
12. 1Fa   2do   131072/177147 * 2/3 = 262144/531441

Ma comunque c’è già un passo avanti: usare la sequenza delle quinte produce dodici note, e non sette, il che vuol dire rendere plausibile la presenza delle seminote mi-fa e si-do poiché in prima approssimazione adesso tutte le dodici note sono distanti di mezzo tono.

Vediamo la sequenza teorica delle quinte partendo dal do:

 do, sol, re, la, mi, si, Sol, Re, La, Mi, Si, fa, do

Le nuove cinque note non previste tra le sette note della scala diatonica vengono chiamate “cromatiche”, e nel nostro esempio dovrebbero corrispondere proprio ai tasti neri del pianoforte.

Inutile dire che questa nuova conformazione, fin dal primo medioevo, ampliando di non poco le possibilità musicali della scala così divenuta dodecafonica, venne subito presa in debita considerazione.

C’era un problema, però: l'ultimo do ottenuto dal ciclo delle quinte era assolutamente dissonante dal do di origine perchè il ciclo delle quinte non si chiuse su una frequenza multipla, e questo comportava tra l’altro che, apparte il sol, anche le altre note erano ben poco consonanti tra di loro.

Ne deriva che con questa tecnica non è possibile una accordatura di una tastiera reale poiché di quinta in quinta l’ultimo do che si ottiene differisce notevolmente dal do che ci si vorrebbe aspettare.

Da qui la necessità di dover partire da un dato di fatto:  l’ottava deve essere per forza ottenuta facendo vibrare le corde di multipli interi della frequenza della nota di riferimento: ad esempio: come detto se il do medio vibra a c.ca 270Hz l’ottava superiore deve vibrare a 540 hz etc etc.

Si resero necessari degli aggiustamenti che passeranno alla storia come "temperamenti".

Nel tardo medioevo ed il primo Rinascimento, i gusti nella musica iniziarono a cambiare e piuttosto che lavorare sull’intervallo di quinta si scelse di lavorare sull’intervallo di terza (do – mi). 

L’intervallo previsto dalla sequenza pitagorica, in questo caso, prevederebbe non i 3/2 della quinta ma 4/5 della terza.

Se è vero che l’accordo di “quinta pura” risulta particolarmente gradevole, l’accordo di “terza pura” risulta invece particolarmente dissonante. 

Per correggere questo, i costruttori di strumenti hanno abbassato l’intervallo di terza ad una divisione di un intervallo chiamato “comma sintotico o di Didimo”. La terza pura venne abbassata di c,ca 21,5 centesimi (5/4 può essere espreso anche come 80/64, il comma sintotico abbassa questa frazione a 81/80).

Volendosi ulteriolmente alambiccarsi il cervello, il temperamento più comune durante il XVI e XVII secolo è chiamato mesotonico regolare a 1/4 di comma, in cui anche l'intervallo di quinta è appiattito da un quarto di virgola sinonica, o di 5,377 centesimi.

OGGI

Oggi la maggior parte degli organi e dei pianoforti moderni sono accordati con un sistema chiamato “temperamento equabile”, in cui l'ottava è divisa equamente in 12 diversi semitoni. 

Tuttavia, questo comporta che la maggior parte degli intervalli in un temperamento equabile sono abbastanza lontani dall'essere matematicamente puri, ossia su come il calcolo matematico dalla fisica acustica prevederebbe. 

È necessario dire che gli intervalli “puri” sono gli unici che, avendo rapporti precisi, qualora si suona una terza, una quinta, o altro, generano un suono particolarmente privo di armoniche dispari, rendendone particolarmente piacevole l’ascolto.

I difetti del “temperamento equabile” non vengono notati perché ascoltando strumenti a tastiera così accordati da quando eravamo bambini, l’orecchio ne ha fatto l’abitudine.

NICOLA VICENTINO

Torniamo di nuovo nel nostro sistema equabile odierno. Se osservate una normale tastiera di un pianoforte, è notorio che ci sono semitoni definibili in due diverde modalità; tra il mi ed il fa, come tra il si e il do, non c’è un tasto nero perché sono già di per se semitoni, per cui se parlo di mi diesis in realtà parlo del fa, mentre se parlo del fa bemolle, parlo del mi e lo stesso tra si e do.  È un non senso.

Questo tipo di semitono, che sia a crescere che a scendere va su un tasto diverso, si chiama “diatonico”

Ma se dico fa diesis vado sullo stesso tasto del sol bemolle.

In questo caso il semitono viene chiamato “cromatico”.

Il pasticcio del “mesotonico regolare a 1/4 di comma,” è che nel caso dei tasti neri, il fa diesis, NON corrisponde col sol bemolle, e così per tutti i tasti neri (anzi, anche tra il mi ed il fa e tra il si e il do succede qualcosa).

Mentre restringere i quinti di una parte della virgola sintonica risolve alcuni problemi, ne crea altri. 

Ora, un certo  Nicola Vicentino, nel 1555, scrive un testo interessante: L’antica musica ridotta alla moderna prattica.

 

Pur essendo un valente compositore, a tutt'oggi è ancora noto soprattutto per un famoso dibattito con il musicista portoghese Vicente Lusitano, che ebbe luogo nel 1551 a Roma, dove Vicentino si era trasferito con il suo protettore. L'argomentazione da lui sostenuta era basata su una particolare interpretazione dei generi della musica (diatonico, cromatico ed enarmonico), in contrasto con Lusitano, il quale riteneva che la maggior parte della musica potesse essere ricondotta nell'ambito del solo genere diatonico. I cantori pontifici Bartolomeo Escobedo e Ghiselin Danckerts, chiamati a stabilire chi avesse ragione tra i due teorici, attribuirono la vittoria a Lusitano, ma l'esito sfavorevole non scoraggiò Vicentino, che espose chiaramente le sue dimostrazioni nel trattato L'antica musica ridotta alla moderna prattica del 1555. 

Per esemplificare praticamente la validità delle proprie speculazioni, costruì inoltre due strumenti, l'arcicembalo (su sei tastiere) e l'arciorgano, in cui i diesis erano distinti dai bemolli, mostrando come potessero essere riprodotti i suoni di tutti e tre i generi. 

Il Clavemusicum omnitonum (Vito Trasuntino, 1609), l'unico esemplare di clavicembalo in grado di suonare più generi sopravvissuto fino ad oggi - Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna 

(Di Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna - http://www.museomusicabologna.it/, FAL, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15984631)

(tastiera le cui ottave presentino 19 tasti, come quella illustrata da J. B. Samber, Manuductio ad organum, Salisburgo, 1704, Parte I, p. 103:)

Nessun arciorgano originale sopravvive. L’unico che vi si avvicina è un clavemusicum omnitonum costruito nel 1606 da Vito Trasuntino a Venezia. Non è suonabile, ma è completo e ha 31 tasti per ottava in un arrangiamento simile. Questo è l’unico strumento paragonabile nella sua complessità agli strumenti di Vicentino.

Sappiamo che Vicentino aveva diversi arciorganici e arcicembali costruiti; il primo arciorgano fu costruito da Vincenzo Colombi, che costruì anche strumenti per luoghi importanti come la Basilica di San Marco a Venezia. Costruì anche un importante strumento al Duomo di Valvasone, che è ancora suonabile. Con un costruttore così di alto profilo coinvolto, l'arciorgano era chiaramente non solo un esperimento, ma in realtà uno strumento musicale funzionante. Ci sono anche prove che Vicentino aveva costruito quattro o anche cinque arcirogani, e almeno due archicembali.


L'organo del 1535 di Vincenzo Colombi al Duomo di Valvasone 

L’ARCIORGANO DI BASILEA

I ricercatori dello Studio 31, con sede presso la Schola Cantorum Basiliensis e la Musik-Akademie di Basilea, in Svizzera, hanno trovato prove storiche del XVI secolo sull’esistenza di uno strumento che poneva un’altra soluzione al problema sul  come dividere un’ottava, che ha profonde implicazioni per l’esecuzione della musica antica, nonché straordinarie possibilità per la musica contemporanea. 

E’ stato ricostruzioto nel 2016 un arciorgano di Bernhard Fleig,  e in un simposio che ha avuto luogo a Basilea nel novembre 2017 ne è stata presentata la tecnica.

Lo strumento, chiamato ARCIORGANO, è un organo a canne basato sulle descrizioni del trattato 1555 di Nicola Vicentino, L’antica musica ridotta alla moderna prattica. 

Il trattato ha anticipato la costruzione di un arciorgano. 

La tastiera viene progettata seguendo questo schema:

 I tasti bianchi sono gli stessi di qualsiasi tastiera convenzionale. I tasti neri sono divisi in due parti; le parti più vicine al suonatore sono le note alterate, la parte posteriore sono le nota diminuite, con l'eccezione di Re♯ ed Mi♭, e La♯ e Si♭. 

Il manuale inferiore ha 19 tasti in quarto-comma significato con tasti neri spaccati; il manuale superiore è lo stesso, ma senza Mi♯ e Si♯, ed è accordato un quarto di virgola più alto.

Così, con i due manuali che suonano con differenti metodi, abbiamo davvero 36 tasti individuali per ottava.

Per ogni tasto sul manuale inferiore, un quinto sopra di esso sul manuale superiore sarà puro. 

In pratica, ciò significa che se volessi un accordo maggiore di Re puro, occorre suonare il Re ed il Fa♯ sulla tastiera inferiore,  che è già pura per via del sistema del quarto-comma. 

Tuttavia, sempre per il quarto-comma, l'intervallo di un quinta (tra Re e La) è minore di un quarto di virgola; poiché la tastiera superiore è sintonizzata un quarto di virgola più alta, è necessario riprodurre il La♯+ sulla tastiera superiore.


Lo stesso vale per le terze minori; per loro natura, sono un intervallo più piccolo di quello puro. Per suonare un accordo di Re minore, dovrei suonare il Re sul manuale inferiore, e il Fa+ e La+ su quello superiore. 

Pertanto, posso suonare qualsiasi triade iniziando con una fondamentale sul manuale inferiore. 

Vicentino descrive l’arciorgano come uno strumento che contiene tutte le consonanze perfette, che può raggiungere le proprietà sonore della giusta intonazione senza il problema della virgola sintonica. 

Per riassumere, si potrebbe dire che suona ben accordato, ma senza dover affrontare la virgola sintonica.

Questi strumenti forse sono stati usati per comporre e accompagnare madrigali in modalità cromatica e altre polifonie complesse dal punto di vista tonale. 

Carlo Gesualdo stesso possedeva un cimbalo cromatico che aveva 19 tasti per ottava. Sappiamo che Luzzasco Luzzaschi ha suonato l’archicembalo di Vicentino. 

Michelangelo Rossi ebbe anche accesso agli strumenti di Vicentino a Roma. 

La presenza di questi strumenti ha sicuramente permesso lo sviluppo di una certa immaginazione per l’esplorazione delle regioni precedentemente impossibili del sistema tonale. Lo si può trovare in modo più ricorrente nella letteratura madrigale. 

ARCIORGANO ON LINE

Caspar Johannes ha uno strumento sul suo sito web dove è possibile sperimentare un arciero virtuale

 



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